giovedì 16 dicembre 2010

Tecnologie nella didattica? Una vecchia questione mai risolta.

Le nuove tecnologie: strumenti o protagonisti del processo di innovazione scolastico?
Sull'uso delle nuove tecnologie nella didattica sono stati spesi fiumi di parole da  parte di studiosi ed esperti a livello mondiale. Nonostante  i numerosi progressi compiuti al riguardo,  la questione, in realtà, non è stata mai risolta. L'introduzione delle LIM nella scuola ha riaperto vecchie polemiche ed interrogativi.
Può uno strumento realmente innovare la didattica e migliorare il processo di insegnamento/apprendimento o occorre che ci sia alla base dell'altro?
 In questi giorni, Gianni Marconato, fondatore de La Scuola che funziona, ha rilanciato la questione, proponendo un  processo alle tecnologie didattiche partendo dai suoi esiti per un discorso evoluto che superi le ovvietà dello stantio e angusto dibattito attuale.
"Alcuni post in blog di colleghi - ha affermato Gianni - hanno riproposto in questi giorni il tema del senso delle tecnologie (digitali e di internet) nei processi di insegnamento e di apprendimento.....
Questi i contributi di riferimento:
 la questione posta (quale mi pare emergere dall’insieme) è se le resistenze che tanti insegnanti e la scuola ancora manifestano verso le tecnologie sia una resistenza specifica alla tecnologia o se, invece, non sia la cartina di tornasole di una più vasta, generale, globale resistenza al cambiamento e all’innovazione da parte della scuola (come istituzione) e degli insegnanti (come attori del cambiamento)"


Ho letto con attenzione i vari post scritti relativamente  all'uso delle nuove tecnologie nella didattica e nell'educazione con i quali concordo in pieno ed   esprimo il mio parere favorevole alla proposta lanciata da Gianni. Proprio in questi giorni sono stata colpita da un articolo pubblicato sul New York Times Growing up digital. Wired for Distraction http://www.nytimes.com/2010/11/21/technology/21brain.html in cui viene affrontato un problema analogo. I giovani di oggi, nativi digitali, hanno sviluppato nuove modalità di apprendimento, sono più immediati, sono abituati a stabilire connessioni tra una mole di dati provenienti da fonti diverse e la scuola del XXI sec. non può ignorare tutto questo. “The technology amplifies whoever you are,”  afferma Mr. Reilly . Tutto dipende dal saperla utilizzare e gestire consapevolmente. Come giustamente ha sottolineato Gianni questioni che dovrebbero essere date per acquisite e scontate non lo sono affatto nonostante siano passati tanti anni dall'introduzione del computer a scuola . Iniziamo sempre dal punto di partenza. Le motivazioni sono molteplici, ad iniziare dalla  politica legata all'inserimento ed alla diffusione delle nuove tecnologie nel mondo scolastico. Diversi anni fa nella scuola primaria l'informatica era una disciplina a sè stante e rientrava nel curriculo obbligatorio. I docenti erano obbligati a dedicare almeno un'ora settimanale a tale insegnamento. L'evoluzione successiva ha portato a comprendere che la tecnologia non può essere separata dalla normale attività di insegnamento. Come la lavagna e la penna anche il computer può essere un potente strumento per raggiungere gli obiettivi disciplinari. Si è proceduti in questo modo ad eliminare l'obbligatorietà dell'insegnamento dell'informatica e con le Nuove Indicazioni per il Curriculo si è sottolineato il carattere trasversale della tecnologia. Tutto questo ha generato confusione alla base. Insegnanti tradizionalisti e conservatori hanno visto questa trasformazione come il venir meno dell'uso della tecnologia. Molto spesso mi sono sentita ripetere "Tanto l'informatica è scomparsa dalla scuola. Perchè devo perdere tempo dietro a queste cose?". A questo punto mi chiedo: una diversa politica di diffusione delle tecnologie avrebbe dato risultati diversi?
Sono convinta che alla base di un cambiamento, come affermato da Cristina, ci debba essere la motivazione, ossia la volontà di mettersi in discussione, di aprirsi al nuovo che avanza. Ma che cosa può spingere un insegnante, dopo tanti anni di lavoro, ad abbondare schemi e modalità ormai acquisite e consolidate? Uno di questi fattori potrebbe essere la gratificazione non solo morale ma anche e soprattutto materiale. Se esaminiamo la situazione da questo punto di vista la realtà in cui versa il corpo docente italiano, a differenza di altri paesi europei, è veramente angosciante. Un insegnante non ha possibilità di avanzare con la propria carriera se non attraverso un arduo concorso, quello dirigenziale, e dal punto di vista economico tante attività legate all'uso delle nuove tecnologie non sono uffialmente riconosciute e retribuite poichè considerate trasversali al normale insegnamento. La retribuzione mensile di un insegnante italiano è tra le più basse d'Europa in confronto ad un monte orario e ad un carico di lavoro piuttosto elevato. Di fronte a problemi di sopravvivenza scolastica, inoltre,  in cui un insegnante si trova a dover elemosinare i gessi per poter scrivere alla lavagna o i fogli per poter fare le fotocopie, e non sono poche le scuole che versano in tale situazione, un insegnante preferisce  dedicarsi all'ippica piuttosto che rimettersi in gioco e continuare ad investire il proprio tempo e le  proprie energie per la scuola.
Che dire poi dell'organizzazione generale della scuola  italiana? Di fronte ad  un sistema di traguardi e competenze da raggiungere alla fine di un determinato periodo di tempo viene lasciato poco spazio alla possibilità di un insegnante di tentare nuove vie e soluzioni. Un docente tenta a ripiegarsi su quello che più sa fare o conosce pur di raggiungere determinati risultati alla fine di un percorso di insegnamento/apprendimento.
Nonostante tutto questo, sono fermamente convinta che nessuno può fermare il progresso e, come ha avuto modo di affermare Maria Serena Peterlin, è doppiamente colpevole chi abbandona. Bisogna andare avanti......ed Io , personalmente, nonostante i pugni ed calci finora ricevuti, questa scelta l'ho già fatta da tempo.

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